Fabrizia Ramondino è stata con Natalia Ginzburg la scrittrice preferita degli anni della mia giovinezza. Mi piaceva il suo tono di voce caldo e lucidamente rammemorante, e la capacità mesmerica di creare una confidenza immediata col lettore sin dall’incipit. Ramondino ha sempre fatto politica e, come ha scritto Alessandro Leogrande, «ha incarnato lo spirito migliore del ’68 e del post ’68 napoletano, quello meno ideologico e più attento al fare, all’incontro reale tra le persone, le classi, i generi, le generazioni, e all’utopia di trasformare ognuna di quelle relazioni.
dalla nota di Roberto Andò
Due coppie di coniugi dividono un villino situato in Alto Adige o nel Sud Tirolo, dipende dai punti di vista. Da un lato un ex dirigente proveniente da un paese dell’Est dopo la caduta del muro di Berlino, accompagnato da una fedele moglie. Dall’altra parte un politico democristiano di fede cattolica sorretto da una moglie bigotta e sognatrice. La convivenza forzata di questi due mondi in esilio è al centro del testo di Fabrizia Ramondino. Satira, analisi politica, storia, si fondono in un mix di relazioni amorose e conflittuali. Nostalgia e rimpianto per ideologie fallite sembrano rinchiudere un glorioso avvenire che tarda ad albeggiare.